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Testamento (2019)

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Un libro, anzi no, due. Due libri (uno dentro l’altro) e due narratori per un romanzo lirico e potente, una versione profana e allucinata delle Confessioni di Sant’Agostino contaminate con La nausea di Sarte e colorite della trasognata malinconia esistenzialista del Cortàzar di Rayuela. Una suite in tre movimenti che racconta la storia di Lorenzo, giovane di buoni ideali che da uno sperduto paesino di montagna si trasferisce a Venezia per frequentare l’università e realizzare le sue ambizioni di scrittore; ma gli anni trascorsi lontano da casa, dagli studi fino all’assunzione in un’importante casa editrice, saranno densi di eventi che faranno maturare nel protagonista una sfiducia nel futuro e nell’uomo, fino a far crollare miseramente l’edificio di valori che il ragazzo aveva con sé al suo arrivo in città, trasformandolo in un disinteressato spettatore della sua stessa catastrofe. In questa sorta di Éducation sentimentale cresce un romanzo che potremmo definire di anti-formazione: un grande affresco dei nostri tempi in cui i temi dell’amore, della funzione dell’arte e della vacuità del vivere sono magistralmente ricondotti alla loro essenza attraverso uno stile teso e originalissimo, assecondato nella sua purezza fino al parossismo.