Lettura-Evento della “Ke-vina Commedia”: Canto quarto

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Poema in cinque canti in terza rima alla vineria Ke Vin! di Treviso

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IL TESTO DEL QUARTO CANTO:

Noi lasciammo il vigneto lamentoso

e giungemmo in luogo così strano

che di saper cos’era ero bramoso,

ma per timor mi tremava la mano

e dalla bocca vento non usciva

che fiato desse al mio dubbiare umano.

Sotto un lume che flebile languiva

tetra s’ergeva una dimora oscura:

intorno non v’era persona viva

ma ben si distingueva dalle mura

uscir lamenti e spaventose strida,

così ristetti per la gran paura.

Ma ‘l buon Vincenzo, la fidata guida,

mi calmò e sermonando dolce disse:

“In quella strana cantina s’annida

l’atroce schiera che sua pena scrisse

maledicendo il vino e l’osteria

e prima che la lor vita finisse

mai non ebber alcuna compagnia,

spregiando sommamente la bevuta

che sempre suol tenere in allegria;

triste è la colpa di questa sparuta

masnada d’infelici e ormai conviene

che più non dica e che si faccia muta

la lingua, sì che tu riguardi bene

chi mai non ebbe luogo al suo diletto.”

E ciò detto andammo con passo lene

verso la casa e sotto il turpe tetto

vidi cose che a stento so ridire:

gli occhi miei si trovarono al cospetto

di gran demòni, informi da allibire

che nudi stavan dentro a enormi tini

e schiacciavan coi piedi a non finire.

Io chiesi qual schiatta di contadini

fosser quelli ed Enry con gesta accorte

rispose al mio dimando: “Gentilini

è l’ubriacon molesto che più forte

degli altri pigia e con lui sono in cento

o forse in mille in questa cupa corte

che dei rei fan barbaro frollamento

maciullando i corpi come uva fosse:

e questa è l’atra ragion del lamento

che pria udisti venendo a queste fosse;

l’uva recisa dal triste vigneto

è qui rimessa con suon di percosse

e il frutto in prima si trasforma in feto

e quindi cresce ed umana sembianza

riprende per diabolico segreto

sì che soffrir possa di sua baldanza.”

Io ero ancora fisso a tanto stremo

che gramaglie vestia di titubanza

ma ‘l buon Vincenzo con fare sereno

mi spinse lungi dall’orribil scena

e “vieni,” disse, “tra poco saremo

in vineria, con la caraffa piena,

e finalmente potrai bere un sacco:

di là, dove il grosso imbuto balena,

infilati e presto sarai con Bacco.