Lettura dialogo “Apologia del niente” – Galleria Browning

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Galleria Browning di Asolo (Tv), 22 novembre 2014, lettura del dialogo poetico-filosofico “Apologia del niente” di Marco Gottardi, con Anna Branciforti.


IL TESTO INTEGRALE DEL DIALOGO

Apologia del Niente

ovvero

Oscar ed Ettore al parco

Oscar – Ancora la solita domanda, sempre la stessa domanda…

Ettore – Ciao Oscar! Che fai, parli da solo?

Oscar – Ettore, amico mio! Ma no… stavo pensando ad alta voce.

Ettore – E vieni al parco a pensare? Da solo? E da quando? Non mi pare di averti mai incontrato da queste parti.

Oscar – Avevo bisogno di schiarirmi un po’ le idee… c’era una domanda, la solita, che mi girava in testa come una trottola impazzita, non riuscivo più a scrivere e così sono uscito a prendere una boccata d’aria.

Ettore – Una domanda dici…

Oscar – Ma sì, ormai ci sono anche abituato, è da quando avevo otto anni che ho cominciato a farmi questa domanda: di punto in bianco, una sera, mentre stavo per addormentarmi, tac, mi arriva dritta nel cervello, e ogni tanto torna alla carica, magari ultimamente un po’ più spesso ecco, tutto qui.

Ettore – E si può sapere che razza di domanda ti tormenta da ventiquattro anni?

Oscar – Ma non mi tormenta affatto! È che non ho ancora trovato la risposta, ma la questione è affascinante, anzi, direi proprio che è la domanda delle domande. Infatti non sono l’unico che si è posto il problema.

Ettore – Sentiamo dunque, se è così affascinante e così importante devo proprio sapere.

Oscar – Caro Ettore, io te lo posso anche dire, ma poi non voglio responsabilità se cominci a pensare a certe questioni e ci perdi il sonno e i polsi.

Ettore – Prometto che non ti rinfaccerò niente. E poi che ne sai, magari te la do io la risposta che cerchi.

Oscar – E va bene, ecco la domanda che ventiquattro anni fa è giunta inspiegabilmente e da chissà dove fra i miei pensieri: perché esiste qualcosa?

Ettore – È questa la domanda? Tutto qui?

Oscar – Come sarebbe tutto qui? E ti par poco? Ti sto chiedendo perché è l’ente e non piuttosto il ni-ente!

Ettore – E tu a otto anni ti chiedevi queste cose?! Ma guarda che sei proprio un bel bru bru!

Oscar – Perché, a te non sono mai venute in mente questioni del genere?

Ettore – Ma in che razza di sciarade vuoi che m’imbarchi, Oscar, non sono mica un genio come te io!

Oscar – Non è questione di esser geni, avevo otto anni per Diana! Ho appoggiato la testa sul cuscino e mi è venuto in mente l’universo: tutto nero, con i pianeti, le stelle, la luna, il sole, insomma, come se lo immagina di solito un bambino. E poi con la fantasia ho iniziato a togliere i pianeti, le stelle, la luna, il sole, tutto. Ho tolto tutto finché non è rimasto niente. O meglio, è rimasto qualcosa. Un qualcosa che forse era niente. E mi pareva che quel niente fosse qualcosa. C’è qualcosa, se togliamo tutto, o non c’è niente, ho iniziato a chiedermi. E perché c’è qualcosa? Quella tela nera e vuota, quell’universale assenza di tutto mi pareva qualcosa. E volli chiamarlo niente. Molti anni dopo scoprii che alcuni fra i più grandi filosofi moderni e contemporanei, oltre a qualcuno di antico, si erano posti la domanda e si erano occupati del niente. E così mi sono appassionato, sì mi sono appassionato al niente. Ma la domanda è sempre senza risposta… il perché, intendo, il perché del qualcosa non l’ho ancora trovato.

Ettore – Be’, mi pare che tu non abbia trovato neanche il perché del niente, sempre che esista.

Oscar – Eh già, caro Ettore, sono proprio in un cul de sac. Non ho concluso niente.

Ettore – E io di certo non ti posso essere di grande aiuto, io non mi sono mai posto certe domande e tanto meno mi sono occupato del niente.

Oscar – È per questo che siamo amici Ettore, non potrei mai sopportare un altro me stesso, un altro con cui parlare di niente.

Ettore – Pensa che noia! Eppure devo darti ragione, un po’ la questione mi intriga. Perché non mi dici qualcosa di più di questo niente.

Oscar – Da quel tanto che ho letto e da quel poco che ho capito, credo di poter concludere che del niente non si capisce niente. A rigor di logica, se l’essere è e il niente non è, del niente non si dovrebbe nemmeno parlare, anzi, non si dovrebbe proprio pensarlo.

Ettore – Ma se ogni volta che ti vedo assorto con lo sguardo che travalica chissà quali confini, e ti chiedo a cosa stai pensando, mi rispondi: a niente.

Oscar – Questo non c’entra ora, è un’altra faccenda, è un altro niente, un niente fasullo. Diavolo, non si può pensare a niente, si pensa sempre a qualcosa, oppure non si pensa affatto!

Ettore – Vuoi dirmi che quando pensi al niente pensi a qualcosa?

Oscar – Questa è una bella osservazione, Ettore; direi di sì, ed è questa la stranezza, perché a quanto pare anche il niente, come l’essere, è. È qualcosa.

Ettore – È quell’universo nero senza pianeti che vedevi da bambino?

Oscar – Be’, quella è un’immagine, diciamo, una raffigurazione, nulla di più. In verità, il niente è molto più sfuggevole e complesso, soprattutto se lo pensiamo in rapporto a ciò che è, a ciò che esiste realmente, che posso vedere e toccare. Per esempio: è possibile che tutto ciò che è, poniamo il mondo, venga dal niente? Dio non ha creato dal nulla secondo le Scritture? Se è così, il niente preesiste all’ente, il niente diventa il padre dell’ente, un complice invisibile dell’essere, e dunque la domanda ha senso di ripresentarsi: perché esiste qualcosa e non piuttosto il niente? Il fatto è che, se anche il niente è qualcosa, è impossibile che si dia il niente, ci sarà sempre qualcosa! Un qualcosa che è niente! Ma così si finisce col far del niente un essere, con l’attribuire a ciò che non è il carattere di ciò che è, e si cade in contraddizione. Al contempo, è necessario che il niente sia niente, e non qualcosa, affinché il niente significhi qualcosa, cioè niente.

Ettore – Fermati, fermati un momento ti prego, Oscar, mi stai ubriacando con tutte queste parole. Mi gira la testa. Aspetta, devo sedermi un istante, qui vicino a te, ecco. Dunque, dicevi? Ah, sì… non ho capito molto di quello che hai detto, o, meglio, ho capito che è un problema. Tuttavia, voglio fare un’osservazione che, mi auguro, potrà metterti sui binari giusti per arrivare dritto alla soluzione della faccenda. Da come parli, sembra che tu attribuisca al niente più diritti di esistere rispetto al mondo. Ti chiedi perché c’è il mondo invece di niente con l’angoscia di chi pensa che sarebbe più logico che non ci fosse niente. Ma chi te l’ha detto? Il niente è una possibilità, una sola, mentre i mondi possibili sono pressoché infiniti, quindi è molto più probabile che un qualche mondo esista piuttosto che si verifichi la possibilità del niente.

Oscar – Giusta osservazione, non ci avevo pensato. In verità ero giunto a un’altra conclusione, ma ora non sono più tanto sicuro nemmeno di quella.

Ettore – Non vorrei averti inguaiato ancora di più, mi dispiace.

Oscar – Ma no, figurati, bisogna sempre mettere in discussione tutto, anche il niente.

Ettore – E a quale conclusione eri giunto, si può sapere?

Oscar – Oh, nulla di trascendentale. Avevo pensato di rielaborare la contrapposizione parmenidea fra essere e non-essere su base trinitaria, con un dio Deus absconditus che conchiude in sé perfettamente essere e nulla, e creando pone in essere un ente che attinge al suo niente per essere, che emerge, cioè, per differenza, che è ciò che è perché non è ciò che non è, che ha sempre bisogno del niente per definirsi, e quel niente fa parte del suo essere in quanto niente ontologico costituente l’essere dell’ente.

Ettore – Ma che diamine! Non ti riconosco più, Oscar! Ma che parole usi, a cosa pensi? Smettila di fare il filosofo, ti devo ricordare io che sei un poeta?

Oscar – Accidenti, con tutto questo niente l’avevo quasi dimenticato…

Ettore – E allora dammi retta, lascia perdere una buona volta questo astruso armamentario concettuale e ricomincia a parlare come fai sempre, da poeta. Vediamo se con la bellezza della parola poetica riesci a farmi andar giù questo niente.

Oscar – Ma Ettore, non ho mai poetato sul niente; come faccio ora qui, su due piedi…

Ettore – Improvvisa, non mi pare ti siano mai mancate le parole, né i bei versi o le arguzie aforistiche. Dai, che dopo tanto bislacco sragionare ho proprio bisogno di un po’ di poesia.

Oscar – E se ti dicessi, allora, che il nulla è l’abito da sera dell’infinito?

Ettore – Ah! Non male, un buon inizio, ma so che puoi fare di meglio.

Oscar – Ettore caro… ma cosa vuoi che ti dica? Per me questo niente è tutto: è Dio che ha scordato se stesso, è l’assenza che grida il suo nome in silenzio, lo spazio trafitto d’immenso, impalpabile scampolo d’incenso, eternità fanciulla che gioca a nascondino fra le misere soglie dove ogni umana doglia s’infinita, è un altrove senza volto, è il tempo che si ammira allo specchio in una veste di vetro, conforto, palpito morto d’infertile orto, assorto disastro d’universi in cui riversi si sta come in estasi…

Ettore – Ehi, Oscar…

Oscar – Ah, niente, amato fratello inapparente, sibilo silente dell’essente! Niente che nientifichi, che annienti e nulleggi, che inanelli inani anatemi e inneggi a gioie che non pareggi, nel vacuo intendere sei fatuo moto di trottole che trastulla il mondo e le sue frottole, più ti penso meno ti sento e tu, travolto dal torvo maltolto, in te ritieni il tutto, il lutto del nostro franto incombere fra tombe e cenere, voce senza foce, luce che si fa truce al cieco carcere, strepito rapito al cinereo cielo dell’inferno come la danza lieve di uno stelo fra gli arazzi dell’eterno. Sei… Ettore, ehi Ettore! Ma dove vai?

Ettore – Lasciami andare, ho da fare…

Oscar – Be’, ma aspettami almeno! E si può sapere dove stai andando?!

Ettore – Vado a farmi un bicchierino, che ne dici: meglio di niente no?

MARCO GOTTARDI