Poema in cinque canti in terza rima alla vineria Ke Vin! di Treviso
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IL TESTO DEL TERZO CANTO:
Taciti n’andavam per un secreto
calle e “di qua”, mi disse Enry, “si sale,
dove s’inselva l’orribil vigneto.
Vedi qua la seconda e più brutale
schiatta di peccatori, e son coloro
che del vino parlarono assai male:
non solo non lo bevvero, ma in coro
lo maledirono con turpi verbi
che a ripensarci già mi discoloro.”
“E perché lor colpa si disacerbi,”
aggiunse ‘l buon Vincenzo, “nella pianta
per noi più dolce questi rei superbi
son tramutati: nella vite santa
fa ammenda ormai l’anima maledetta
che nel tralcio per punizion si schianta.
Come dal mondo fugge, in tutta fretta
prende suo posto tra questi filari:
ognuna sceglie il tronco che le spetta
e una dall’altra pianta non ha pari
dolor, ché a più grande colpa diverso
scotto conviene e diversi calvari;
così quel fusto che vedi riverso
per il gran peso dei grappoli attorti
è quel che più degli altri fu perverso:
Bevilacqua s’appella, e sol contorti
pensieri ebbe sul vino, e questa frasca
che qui germoglia fra i compagni morti
Acquafresca è nomato, e mai la fiasca
in vita sua conobbe e come quelli
che mai non brindano le mani in tasca
tenne e né canti, risate o stornelli
allietarono la sua sobrietà.”
Così disse Vincenzo e quegli imbelli
poi gabbò con maligna ilarità,
calciando i tralci con un tale ardore
che da quel campo ne cavò la metà.
E mentre lodavo il sacro furore
dell’oste, ecco che a un tratto da lontano
vidi gente scendere da un trattore
e avvicinarsi con la falce in mano
sì che forte temetti per la vita.
“Stai tranquillo,” mi disse ridanciano
Enry, “la pena qui non è finita
ché poca cosa sarebbe il sostare
in questa verde collina gremita:
vedrai cos’altro deve sopportare
chi non beve e maledice il buon vino;
ma su, non far che ti debba pregare,
aguzza gli occhi e fatti più vicino.”
Io vidi contadini che con furia
recidevan con fare sopraffino
l’uva da quella ignobile centuria,
e le piante gridavano con spregio
per il taglio della villana curia
e sangue sputavano per lo sfregio
d’esser vendemmiati e messi nel sacco.
E così capii con qual sortilegio
paga il fio chi suol maledire Bacco.