Poema in cinque canti in terza rima alla vineria Ke Vin! di Treviso
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IL TESTO DEL SECONDO CANTO:
Ancora mi suonavan nella testa
le parole dell’oste, come al figlio
c’ha trasgredito nell’animo resta
l’ammonimento paterno e ‘l cipiglio
severo del genitor che non erra;
ma già il cammin chiedea diverso piglio
e il cuor si preparava all’aspra guerra
che prima della sbornia mi attendeva.
Per una stretta ed erta via di terra
che come una voragine scendeva
nelle viscere d’un profondo abisso
ci mettemmo, e fioco al fondo luceva
un lume che sopra un legno era affisso
sul quale stava scritto: “In questo spazio
ignudo e con vergogna è crocifisso
chi in sua vita del vin ha fatto strazio,
e avendo eletto l’acqua a sua bevanda
con acqua gelida qui paga il dazio.”
Io vidi di cotali una gran banda:
appesi ed assetati e pien di stenti
subivan da demòni una lavanda
che gridar li facea e battere i denti.
“Vedi?”, disse Enry sbottando d’un tratto,
con loro finirai se non ti penti
perché chi acqua e basta beve è un matto
e non un santo, e a questi mali estremi
che io con ombre e caraffe combatto
è dura por rimedio; ma se temi
di non saper chi questi vili sono
velocemente ti dirò che astemi
furon tutti e di lor non altro suono
convien sprecare. Guarda e intanto vai,
che questi volentieri li abbandono
e tu spera di non tornarci mai.”
Così c’incamminammo in un bislacco
campo e già s’udivano i tristi guai
di chi non conosce né onora Bacco.